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IX Congresso Nazionale

Federazione dei Comunisti Anarchici

Cingia de' Botti (CR), 1-2 novembre 2014

Il mondo del lavoro

Sostenere tutte le forme di resistenza in atto e che si proporranno

 

L'affermazione di una differente forma di accumulazione capitalistica trasforma in modo radicale gli assetti sociali definiti, inserendo una brutale riorganizzazione di classe; il processo è in atto ed ha subito una accelerazione dal picco di crisi del 2008.

Le linee dell'attacco alla classe lavoratrice si sviluppano su due direttrici strettamente connesse: il mercato della forza lavoro e la contrattazione. Seguendo un copione preciso: destrutturazione dell'esistente e sua sostituzione con norme funzionali alle esigenze ristrutturatrici necessarie alle imprese e alle modifiche nella pubblica amministrazione (lavoro pubblico in senso ampio) sino ad una sistemazione legislativa definitiva.

Simile processo riguarda tutta l'area economica di vecchia industrializzazione e colpisce in particolare i paesi dove i livelli di tutela e di diritto del lavoro sono maggiormente presenti: nel nostro caso il processo travolge letteralmente i rapporti di forza tra capitale e lavoro.

Il movimento operaio a base "socialdemocratica" scompare. Le due forme organizzate, il partito di massa e l'organizzazione sindacale radicata nei posti di lavoro con una rappresentanza che contratta la prestazione lavorativa, hanno il percorso segnato: la prima è scomparsa, la seconda è in declino e in rapida trasformazione all'interno di spazi assegnati dalla finanza e dalle grandi imprese sovranazionali. Nei fatti la costruzione del sindacato di mercato.

Il dominio del capitale sulla prestazione lavorativa aumenta l'intensità dello sfruttamento con forme di organizzazione e gestione della prestazione che tagliano diritti e tutele negando il diritto di coalizione e di contrattazione nel luogo di lavoro, togliendo alla base la possibilità di porre vincoli al capitale. La centralità dell'impresa e l'aziendalismo corporativo anti-solidaristico, come base dell'egemonia culturale diffusa, pongono come risultante la competizione fra lavoratori.

La scomposizione della classe derivata dalla tipologia di accumulazione capitalistica risulta uno degli elementi fondamentali per il cambio dei rapporti di forza a favore dei padroni. La precarizzazione del lavoro diffusa si imporrà ulteriormente secondo l'applicazione dello schema "a porta girevole": passi dal lavoro al non lavoro con un salario di sussistenza a tempo, vero punto di arrivo delle varie modifiche del mercato della forza lavoro.

Si può riassumere quanto sviluppato sin qui come la perdita dell'azione autonoma della classe che si contrappone al disegno del capitale, disegno ormai giunto ad una fase avanzata di realizzazione. L'azione sindacale dovrebbe avvenire attraverso una reazione di massa organizzata e condivisa, oggi non possibile dati i rapporti di forza sfavorevoli, dovuti anche a pesanti sconfitte, una su tutte le riforme del governo Monti-Fornero (2012).

Lo stessa deindustrializzazione ha determinato un numero crescente di disoccupati; se nel nord del paese i processi ristrutturativi creano anche una disoccupazione tecnologica, in vaste aree del sud si riapre la questione meridionale con riferimenti storici e inediti. Il ricatto del posto di lavoro risulta un'arma vecchia ma che funziona sempre in mano ai padroni.

I processi in atto nella manifattura con la formazione di aziende a rete, filiere ecc., lo sviluppo della circolazione delle merci che implementa la logistica come uno dei settori strategici per la valorizzazione del capitale creano anche l'impossibilità, ormai,di parlare di settore industriale nazionale: il riferimento nel caso del nord del paese non può che essere quanto meno europeo. Prendere a base il nazional-capitalismo in termini di analisi è tempo sprecato.

L'organizzazione sindacato

Se i processi in atto hanno messo in disparte il sindacato rivendicativo-conflittuale relegandolo a gestore di vertenze su chiusure di aziende e riduzioni di personale, pochissime sono le azioni contrattuali degne di questo nome svolte su scala nazionale o aziendale. Bisogna sottolineare che il processo in atto toglie e modifica il ruolo del sindacato generale, non riconoscendolo come corpo intermedio, negando alla fine il suo ruolo di inclusione positiva dei lavoratori attraverso le lotte. Sotto questo profilo si arriva, partendo dai luoghi di lavoro, ad una modifica sostanziale dell'assetto democratico borghese, soggetto a pesante modifica/ristrutturazione autoritaria.

La stessa confederalità, punto avanzato nella formazione della linea e delle decisioni in CGIL -unico sindacato con livello territoriale e categoriale che presenta un corpo confederale diffuso dal territorio al centro nazionale- cessa di funzionare. La deriva/declino in atto parte da questi presupposti, il sindacato confederale generale viene sottoposto ad una radicale trasformazione che elimina la sua autonomia e fa a pezzi la rappresentanza. Inoltre, sono ormai diversi milioni i lavoratori senza una rappresentanza sindacale, laddove si sconta anche il percorso del contratto di lavoro sempre più individualizzato o la presenza di lavoro non contrattato.

Questo processo non risparmia ovviamente neanche il sindacalismo alternativo, posto tuttora drammaticamente di fronte sia alla sua incapacità di costituirsi come decisivo nei rapporti di forza globale, sia nel suo limitarsi a un ruolo di mera competizione /concorrenza al sindacalismo confederale, cadendo a volte in logiche sostitutive piuttosto che di riorganizzazione dal basso dei lavoratori in nuove forme di aggregazione e di coalizione nei posti di lavoro e nel territorio, come richiedono le rapide trasformazioni e le nuove condizioni di sfruttamento della classe.

La fine del sindacalismo di "ispirazione" socialdemocratica presenta una lunga e complicata crisi organizzativa, pochi sono gli ambiti dove sono presenti confronti e discussioni sul futuro dell'organizzazione sindacato, ma bisogna praticare anche questi spazi per sostenere le posizioni che come Alternativa Libertaria (FdCA) definiremo.

Non abbandoniamo quindi le organizzazioni sindacali dove siamo presenti e dove diamo il nostro contributo, ma sottoponiamo ad una attenta analisi le decisioni che vengono prese, individuando se queste possono ancora giocare un ruolo per la classe. Visto, ed è bene ripeterlo, che non abbiamo sedie e poteri da occupare o da far valere in nome della stessa, ma abbiamo da affermare il ruolo e l'azione possibile della classe. Sostenendo in modo militante tutte le forme di resistenza in atto e che si proporranno, così come le nuove esperienze che tracciano segni importanti e fondamentali.

Un progetto che dobbiamo costruire, che ha base nel territorio all'interno del quale si colloca un percorso di riaggregazione delle lavoratrici e dei lavoratori legato ad una azione di ricostruzione attiva delle organizzazioni dei lavoratori, sindacato compreso.

Il territorio non deve risultare una ritirata, ma il punto centrale dell'agire politico sul terreno di classe.

Una fase complessa, dove il ruolo della nostra organizzazione risulta sempre più centrale, coscienti che occorre una presenza come comunisti anarchici "qualificata" e all'altezza delle difficoltà che il mondo del lavoro attraversa.

Intervento degli attivisti sindacali libertari

In questa situazione di grave difficoltà per l'azione sindacale di massa, conflittuale ed auto-organizzata, il ruolo degli attivisti sindacali libertari non può prescindere da due obiettivi di fondo:

  • difendere l'agibilità, la libertà/diritto dei lavoratori ad associarsi/coalizzarsi, ad organizzarsi sindacalmente nel posto di lavoro e nel territorio, sia sul piano della rappresentanza che dell'azione di consultazione e di decisione assembleare;

  • impedire il processo di desindacalizzazione, collegato sia all'espulsione di forza-lavoro che al ricatto padronale ed ai processi di precarietà/flessibilità, il quale produce inesorabilmente la scomparsa dell'azione sindacale nei posti di lavoro.

Oggi l'esistenza nelle organizzazioni sindacali di una ancora rigida organizzazione in categorie di lavoratori a tempo indeterminato rimanda ad una concezione del lavoro omogeneo sul piano delle mansioni, del salario e dello status contrattuale, ancora esistente, ma non più prevalente. Il rischio è quello di non cogliere come la diffusione della precarietà - tanto sul piano del rapporto di lavoro quanto sul piano della distruzione di autonomia di scelte nella vita - rappresenti un processo in cui occorre andare a ricostruire legami di appartenenza collettivi, in cui occorre alimentare un processo di ricomposizione di interessi materiali, all'interno di un sindacato industriale intercategoriale, rappresentativo delle varie figure lavorative contemporanee.

L'azione sindacale degli attivisti libertari non può essere vincolata ad una scelta precostituita di sigla sindacale, ma deve rapportarsi ove possibile alla situazione relazionale, organizzativa e di lotta di ogni singolo posto di lavoro, dal momento che la priorità è la scelta di appartenenza, di inserimento e di azione all'interno dei lavoratori come tali.

In questo senso è decisivo stimolare tutte le forme di ricostruzione di un tessuto sindacale democratico ed antiautoritario che favorisca la piena partecipazione ed autodeterminazione dei lavoratori, tramite i loro organismi assembleari ed elettivi.

In questo periodo storico denso di difficoltà sul piano dell'attività sindacale, è raccomandabile che gli attivisti sindacali libertari si rendano protagonisti della promozione e dello sviluppo di strutture di coordinamento territoriali di lavoratori e di altri soggetti sociali, per impedire che la "questione lavoro" nella sua declinazione sindacale e sociale venga relegata a questione minore e non centrale; per impedire che - all'interno di una lotta di resistenza e di lunga durata - prevalgano scorciatoie elettorali e nazionalizzatrici che distolgano i lavoratori dalla lotta anticapitalista per la nostra emancipazione.

Occorre compattare il fronte del dissenso, ricostruire forme di democrazia e di organizzazione nei posti di lavoro affinché la validazione dei CCNL non diventi pura e semplice ratificazione della volontà padronale entro l'artificioso orizzonte del "patto fra produttori". Ma occorre anche comprendere che non sono le norme a sancire il conflitto, ma i rapporti di forza messi in campo. Solo l'affermarsi di condizioni storiche oggettive, sulle quali si innesti la ripresa di una forte soggettività politica della classe lavoratrice, può permettere ad essa di rivendicare la titolarità del sindacato e creare le condizioni per il conseguente sviluppo del conflitto sociale.

Occorre dunque promuovere una riorganizzazione dei lavoratori stessi sulla base di dinamiche intercategoriali che siano in grado di inserire nel quadro sindacale anche quelle figure che ne restano oggi escluse in virtù del modello della categorialità. Non vediamo altra strada per ricomporre, almeno al livello della sindacalizzazione di massa, un quadro frantumato e sempre più abbondantemente popolato da figure come i lavoratori al nero, gli inattivi e i disoccupati. Senza dimenticare l'ampia schiera di lavoratori il cui livello di precarietà è tale da costringerli ad un turnover dai tempi rapidissimi su posizioni occupazionali assai diverse fra loro sul piano del profilo professionale e delle mansioni ad esso correlate, lavoratori altrimenti inintercettabili mediante quelle rigide categorie la cui rappresentatività era intimamente legata al modello fordista di produzione e che oggi, a parte rare eccezioni, è ormai tramontata.

Occorre orientare l'apertura di alcuni sindacati - o parte di essi - ai movimenti, in funzione dell'affermazione, in seno alle organizzazioni sindacali, di tendenze volte al superamento di una mera visione fabbrichista a favore di un ampio coinvolgimento nel sociale. In questa prospettiva affermiamo la necessità di individuare denominatori comuni - dal salario ai diritti, dal carovita alla casa - capaci di porsi come motori di un progetto di ricomposizione di classe.

Occorre sostenere la suddetta dinamica ricompositoria, per quanto possa essere minima e graduale, affermandone il carattere indispensabile per qualsiasi progetto orientato sulla base della lotta di classe e in funzione di una sua progressiva estensione e radicalizzazione. Tale percorso potrà essere foriero di risultati, solo se si procede alla creazione e alla progressiva estensione di strumenti di mutualismo solidaristico, la cui strutturazione potrebbe essere pratica attiva di tutti quei compagni militanti che non trovano collocazione all'interno del sindacato. In particolare oggi, l'importanza di siffatti strumenti risiede nel fatto che essi si pongono come unico mezzo per intervenire sui "lavoratori di riserva", figure emblematiche di una condizione intermittente e trasversale a tutte le figure cosiddette atipiche, ma che rappresentano ormai la tipicità all'interno dell'attuale sistema di sfruttamento.

Alternativa Libertaria/FdCA

Cingia de' Botti (CR), 1-2 novembre 2014

Documento approvato dal IX Congresso Nazionale della FdCA