IL PUNTO
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L’Illusione antiberlusconiana
Le recenti elezioni amministrative hanno creato una grande euforia nella compagine del centro sinistra e, anche tra la gente comune, la prospettiva di liberarsi definitivamente di Berlusconi e suoi portaborse genera aspettative di cambiamento.
Quello che andiamo ripetendo da molti mesi, ovvero la costituzione di un fronte compatto che ha come collante centrale l’antiberlusconismo, rischia di tradursi in una tragica realtà.
Il nostro pessimismo non è legato ad una semplice ideologica avversione a tutto ciò che è gestione del potere, ma trae alimento dalla osservazione dei comportamenti dei partiti e degli uomini che si candidano al governo della nazione. Il carico di problemi che il futuro prospetta è davvero notevole se si considera che finora coloro che si presentano come alternativa al polo delle libertà non hanno indicato come e cosa cambiare della legislazione che Berlusconi e governi precedenti hanno emanato. Solo per titoli non si conoscono gli indirizzi che a sinistra si vogliono assumere in relazione al lavoro precario – Treu / Biagi-; alla previdenza; alla scuola; alla sanità; alla centralità della gestione pubblica nei servizi; alle politiche di accoglienza per gli immigrati; al disimpegno dell’Italia da tutti i teatri di conflitto, a partire dall’Iraq; alla politica delle entrate e delle spese.
Questo è il quadro del futuro, ma preoccupazioni maggiori abbiamo se prendiamo in esame il comportamento delle giunte di sinistra che governano molte amministrazioni locali.
Il primo dato che delinea una sostanziale omogeneità tra governi locali di centro destra con quelli di centro sinistra è l’utilizzo degli strumenti di precarizzazione del lavoro. L e esternalizzazioni sono la base di contenimento dei costi per entrambi, così come l’utilizzo di comparti di lavoratori con contratti meno garantisti in termini di salario e di diritti rispetto a quelli del corrispondente contratto pubblico. Le collaborazioni a progetto e le prestazioni professionali, ampiamente usate dai due schieramenti, sono per una parte elusione contributiva per lavori dipendenti camuffati da lavoro autonomo e per una parte strumento di elargizione consociativa per creare fasce di consenso clientelare. A sinistra, come al centro e a destra le politiche di privatizzazione proseguono senza segnare alcuna discontinuità tra gli uni e gli altri. Si esternalizzano e si privatizzano pezzi importanti della sanità, sia i servizi che non hanno diretta incidenza sulla persona – pulizie, cucina, farmacia, manutenzioni -, sia servizi che riguardano il ciclo della cura utilizzando agenzie interinali e cooperative sociali.
Così come in quello che potrebbe essere assunto come l’obiettivo simbolo della gestione pubblica sociale, ovvero la gestione dell’ acqua, non trova a sinistra alcun sussulto che la metta in sintonia con le esigenze della stragrande maggioranza della popolazione mondiale che rischia di aggravare le proprie condizioni di sofferenza e miseria nel caso, già in parte avviato, di una privatizzazione del ciclo delle acque. Molto si potrebbe dire sulle spese militari che non sono oggetto di valutazione quando si vagliano le ipotesi di taglio delle spese, ma che anche a sinistra sono orfane di posizioni di grandeur in funzione dell’Europa che si vorrebbe armata autonomamente per svolgere in proprio la funzione di gendarme internazionale, senza dover delegare agli Stati Uniti questo compito. Il no dei francesi alla costituzione europea è un monito contro una Europa che non da risposte al sociale.
La sinistra non solo non elabora programmi che abbiano elementi di rottura o di semplice discontinuità con il governo di centro destra, ma si caratterizza come apparato burocratico di potere che si preoccupa più del ceto politico che dei problemi. Le recenti contorsioni centriste di Rutelli ne sono un esempio lampante.
Elementi per il programma politico degli anarchici
In questo contesto il ruolo degli anarchici è innanzi tutto quello di demistificare l’idea che la destra e le politiche antipopolari si battono facendo un indistinto fronte contro Berlusconi. Questo sia perché non esiste un programma alternativo al liberismo e sia perché ciò potrebbe determinare una pericolosa deriva di sostituzione politica. Molti si potrebbero convincere che il conflitto, a partire dal semplice conflitto sindacale, non serva e che la soluzione a tutti i problemi possa arrivare solo da un cambio di mano tra il centro destra e il centro sinistra.
Quanto illusoria sia questa aspettativa è la storia recente e meno recente a mostrarcela. Dal governo di unità nazionale della fine degli anni ’70 che, con la teorizzazione della moderazione salariale quale strumento per il rilancio dell’economia, segnò di fatto la chiusura del lungo ciclo di lotte e di conquiste dei lavoratori avviatosi nei precedenti anni ’60, ai recenti governi degli anni ’90 costruiti sui sacrifici del lavoro sull’altare dell’Europa. Emblematico e paradossale al riguardo è la vicenda del neo sindaco di Bologna. Il carismatico Cofferati dimessi gli abiti del sindacalista mette a nudo l’anima tardo stalinista che contraddistingue tanti uomini del vecchio PCI. L’ex capo della più grande organizzazione sindacale italiana si rapporta ai sindacati né più né meno di un qualsiasi amministratore di destra, arrivando a sconfessare un accordo sindacale fatto dal suo predecessore, in una sorta di spoil sistem contrattuale. Il tarlo autoritario, sedimento del comunismo da caserma respirato in gioventù dal “cinese”, riemerge con arroganza producendo un’ordinanza che vieta il consumo di qualsiasi bevanda alcolica dopo le 21 fuori dai locali. Ecco che una innocua bevuta di birra in allegra compagnia in piazza Maggiore, rischia di essere contravvenzionata come associazione a delinquere. Un bel risultato per un sindaco di sinistra che molti volevano come l’anti Berlusconi.
Siamo convinti che per contrastare la deriva liberista nelle sue varianti di destra e di sinistra sia necessario non delegare alla politica i possibili cambiamenti. Ai problemi economici non si risponde con alchimie politiche. Riteniamo prioritario in questa fase porre al centro dell’attenzione le condizioni dei lavoratori, piuttosto che il declino industriale. Centrare le politiche sul declino industriale significa ancora una volta approdare a manovre che pongono l’impresa come elemento centrale nella produzione della ricchezza e di converso significa assumere il benessere dei lavoratori quale conseguenza della solidità dell’impresa e condizione sacrificabile a quell’obiettivo. Se, invece, i bisogni e le condizioni dei lavoratori diventano parametri non comprimibili verso il basso, diviene consequenziale rispondere alla crisi economica attraverso politiche di entrate fiscali che aggrediscono i grandi patrimoni e le rendite finanziarie e attraverso il taglio di quei settori che bruciano ricchezza quali la spesa corrente nei settori militari e la spesa in armamenti. Gli introiti derivanti dalle maggiori entrate e dalle minori spese devono essere destinate prioritariamente a sostenere interventi che favoriscono occupazione stabile e tutelata; a sostenere politiche strutturali nei trasporti per favorire ed incrementare il trasporto su rotaia di merci e persone, e il trasporto merci con imbarcazioni di medio cabotaggio; potenziare il trasporto pubblico urbano; sostenere la ricerca in particolare per la tutela della salute e dell’ambiente; convertire gli apparati militari, sia uomini che mezzi, in strutture di protezione civile.
All’occupazione del potere politico contrapponiamo lo sviluppo nella società di associazioni e comitati che si fanno carico di organizzare alleanze tra soggetti diversi su problematiche concrete. Creando mobilitazione e lotta, ma anche autorganizzazione per dare risposte a emergenze sociali.
L’immigrazione è un terreno sul quale è necessario sviluppare l’opposizione alla Bossi-Fini e ai CPT. In collaborazione con settori dell’associazionismo classico disposti ad andare al di là dei pesenti limiti che la legge impone, costruire rete e strutture di accoglienza che assumono la tutela dei diritti umani ed universali del cittadino straniero quale condizione minima necessaria per intervenire in questo campo. Gli attuali CPT sono la negazione di tutto ciò e l’associazionismo che si “offre” per la loro gestione partecipa solo ad un lucroso busines.
Nel movimento sindacale accanto alla battaglia contro il precariato, obiettivo strategico per avviare processi di ricomposizione della classe è nostro compito mantenere alto il profilo dell’autonomia. Nelle confederazioni per sottrarre la CGIL alla morsa moderata e neo liberale dei DS e nei sindacati di base per sottarsi alla tutela e ai tentativi di egemonia di settori di rifondazione Comunista e soprattutto per battere velleità di sostituzione politica.
Carmine Valente giugno ’05
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