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Premessa
I compagni facenti riferimento all’esperienza della rivista “Comunismo Libertario”, hanno intrapreso una riflessione che ha condotto alla stesura del seguente documento rivolto a tutti quei militanti che concordano sullo stato di crisi dell’anarchismo, che da teoria e prassi della rivoluzione sociale si è progressivamente ridotto ad un fenomeno marginale.
L’anarchismo, certamente usurato dalle durissime prove cui è stato sottoposto nel corso della sua lunga storia ha visto, soprattutto dal secondo dopo guerra, consolidarsi al suo interno forze e posizioni che hanno realizzato la sistematica demolizione dei presupposti materialisti e di classe, tendenti a recidere ogni significativo legame con le antiche origini proletarie e socialiste, alimentando un interesse, che ancora oggi perdura verso fenomeni sociali e culturali diversi, laddove pareva possibile ottenere quelle conferme che la lotta di classe altrimenti negava. Questo deliberato distacco da ogni implicazione di classe ha pregiudicato ogni altra ripresa della presenza organizzata degli anarchici nella società. Così è che le innumerevoli istanze libertarie che indubbiamente serpeggiano negli ambiti della società, private come sono state di solide basi teoriche ed organizzative, non hanno realizzato, non realizzano e non realizzeranno alcun rinnovamento dell’anarchismo ma bensì la sua risoluzione nel sistema capitalistico.
Sopravvivono all’interno del movimento anarchico anche altre componenti che pure continuano a richiamarsi alla lotta di classe. Gruppi, nuclei, singoli compagni, si arrestano però di fronte alla necessità di sottoporre a revisione la dottrina, riproponendo la logorata visione testimoniale che pone il mondo come problema e individua l’anarchismo come soluzione. Da ciò consegue l’isolamento dai più ampi contesti dell’intero movimento di classe che, pur non esprimendo alcun contenuto anarchico, costituiscono l’unico riferimento organico per costruire il superamento della società capitalistica. L’anarchismo è così privato delle sue caratteristiche concrete e vitali, respinto in una dimensione fideistica, fissa e immobile nel tempo, ostile ad ogni contaminazione e intenta solo a replicare la propria purezza ideologica, esaurendosi nell’invocare una vuota coerenza agli immutabili principi della dottrina.
Anche altri impegnativi progetti, non necessariamente convergenti per origini, storie, contenuti politici e finalità, hanno alle spalle preziosi tentativi teorici e pratici di ricostruzione di un’identità politica dell’anarchismo di classe, ma sono pure essi caratterizzati da gravi limiti. Si riconosce, è vero, la necessità di un profondo aggiornamento della dottrina, ma l’impegno al riguardo si esaurisce nel riproporre la fedeltà alle premesse politiche e organizzative, riducendosi ad una prassi tipicamente autoreferenziale.
Ciò non consente di comprendere che l’anarchismo è attualmente deformato nella sua struttura portante dallo sconvolgimento degli assetti di classe indotti dalla ristrutturazione capitalistica, dal disarmante ruolo storico del riformismo e dalla disorganizzazione socialdemocratica e staliniana, che tanto hanno influito sul regredire dei livelli di consapevolezza del proletariato e delle classi subalterne. Conseguentemente, ogni tentativo d’azione politica che prescinda da questa pratica condizione non può che replicare l’antica vocazione volontaristica che in quanto tale non rappresenta il futuro, ma i vecchi errori che hanno condotto all’isolamento e alla marginalità.
La crisi dunque esiste ed è una crisi antica, un fenomeno storico del quale intendiamo ricercare le cause per effettuare, assieme ai compagni e alle compagne disponibili, il primo passo per risalire la china dell’emarginazione e della sconfitta e per riconferire all’anarchismo un ruolo trainante nella transizione rivoluzionaria.
I presupposti storici
Il secolo XIX termina in una situazione generale che vede il capitalismo internazionalizzarsi, affiancando ai processi di colonizzazione il fenomeno dell'esportazione di capitali. La concorrenza tra potenze si accresce, e si pongono le basi per la nascita e l'evoluzione del fenomeno imperialista.
Un altro fondamentale fenomeno che segna l'inizio del nuovo secolo, è costituito dalla crisi capitalistica che diviene l'elemento con il quale la concentrazione dei capitali è costretta a convivere.
I conflitti fra gli Stati nazionali, anche se continuano ad assumere la caratteristica dei conflitti d’area (guerra Ibero Americana, guerra Russo Giapponese) sono motivati principalmente dall’esigenza di dominio sui mercati internazionali e costituiscono le premesse sulle quali si svilupperà la prima guerra mondiale imperialista.
E' proprio in questo contesto che le masse proletarie divengono protagoniste di nuovi e profondi cicli di lotte che si radicalizzano: la rivoluzione diviene conseguentemente la grande protagonista del secolo XX.
L'anarchismo espande la sua influenza sulle masse operaie e proletarie, ma sconta l'incapacità di comprendere con chiarezza l'evoluzione del ciclo capitalistico nella nuova fase imperialista, ed il nesso esistente tra congiuntura di crisi e lotta di classe rivoluzionaria.
Le migliori elaborazioni anarchiche dell'epoca esulano dall'affrontare con la dovuta compiutezza ed efficacia le problematiche teoriche circa lo sviluppo del capitalismo, sulle quali insistono, invece, i marxisti rivoluzionari, anche se tale omissione può essere compresa, ed in parte giustificata, dall'asprezza dello scontro di classe e dalle priorità imposte dal ciclo storico. E', infatti, con gran generosità ed entusiasmo che gli anarchici si dedicano alla classe e alla sua organizzazione, ma mancherà loro la consapevolezza, la capacità e la determinazione di sviluppare compiutamente e stabilmente l'insegnamento teorico ed organizzativo a suo tempo impartito con esemplare chiarezza da Bakunin: ruolo della minoranza agente, dualismo organizzativo, programma politico. Di fronte alla prima guerra mondiale imperialista il movimento anarchico manifesta alcuni gravi cedimenti (così come, d'altronde, il movimento marxista), conseguenti all’incertezza sorta attorno alla necessità di dotare il proletariato di una solida teoria rivoluzionaria e di basi organizzative e politiche per reagire efficacemente alla guerra.
L’anarchismo non si riuniva in un contesto internazionale dal 1907, ed il congresso del 1914 non poté celebrarsi per lo scoppio della guerra: questo ritardo agevolò la confusione all’interno del movimento anarchico consentendo l’emergere di posizioni dichiaratamente interventiste, reazionarie e proto fasciste (Gigli, Gioda, Rocca, Rigyer), nonché di altre a favore dell’intesa (“Manifesto dei sedici” firmato in Francia da esponenti anche autorevolissimi dell'anarchismo internazionale), creando ulteriore confusione e sbandamento.
Nonostante queste prese di posizione, che causarono gravi conseguenze sul piano organizzativo e politico, la grande maggioranza degli anarchici si schierò contro la guerra.
In Italia l'instancabile opera antimilitarista e internazionalista di Malatesta, Fabbri, Galleani e del giovane Berneri, unitamente a quella di molti altri esponenti dell'anarchismo e alla mobilitazione di migliaia d’anarchici militanti nell'USI e nella CGdL, bilanciarono il grave sbandamento riconferendo dignità rivoluzionaria all'anarchismo.
Ma nonostante gli sforzi e le energie profuse l'anarchismo appare ormai non più attrezzato a rapportarsi alla nuova fase storica così come si stava prefigurando.
C'è da dire che il primo conflitto mondiale imperialista aveva sorpreso anche il movimento marxista in una situazione di grave difficoltà nella quale si erano verificate le medesime subordinazioni alla guerra imperialista, ma a quelle deviazioni faceva argine una più efficace e qualificata analisi dell’imperialismo e dell’evoluzione del fenomeno riformista, efficacemente testimoniata dall’elaborazione politica e dall’azione instancabile di numerosissimi esponenti marxisti, tra i quali si distinsero per chiarezza e determinazione gli internazionalisti tedeschi con il loro messaggio, che collegava la necessaria opposizione alla guerra imperialistica ad una indicazione politica internazionalista ancora oggi attuale:
“Per ciascuno il nemico principale è costituito dalla borghesia del proprio paese”.
Con la rivoluzione Russa del 1917, il bolscevismo afferma la sua capacità di attrarre i consensi del proletariato internazionale. In questa fase la critica anarchica al bolscevismo si dimostra del tutto inadeguata alle necessità storiche: conseguentemente si verifica un fenomeno sul quale troppo poco si è indagato e riflettuto e cioè il passaggio, in Italia e nel resto del mondo, di migliaia di quadri operai e proletari dall'anarchismo alle file del bolscevismo.
In Italia i teorici dell'anarchismo, sia pure con qualche qualificata eccezione tra le quali spicca per lucidità l’elaborazione di Luigi Fabbri, non sembrano rendersi conto della reale portata dei fatti e rimuovono il fenomeno che comunque si espande: il loro contributo alla lotta rivoluzionaria del proletariato, culminato nel 1919 con la costituzione dell’Unione Comunista Anarchica d’Italia (U.C.A.d’I. poi Unione Anarchica Italiana U.A.I.) e con il “Programma malatestiano” del 1920, per altro tenacemente osteggiato dalle componenti antiorganizzatrici e mai completamente applicato, non impedirà di abbandonare le tematiche organizzative nelle mani del bolscevismo.
Ma un'altra vicenda contribuisce dolorosamente al ridimensionamento del ruolo dell'anarchismo tra le masse e consiste nell'ascesa e nell’affermarsi del fenomeno fascista.
Al riguardo, oltre all’elaborazione di Luigi Fabbri "La controrivoluzione preventiva" (scritto tra il 1920 e il 1921) e alla proposta del vecchio Malatesta di un "fronte unico rivoluzionario", non vi sono altre elaborazioni e proposte in grado di orientare la generosa e determinata opposizione di migliaia di militanti anarchici al sanguinoso affermarsi della dittatura fascista; opposizione, comunque, tuttaltro che inefficace dato che contribuirà, insieme all’intervento nella guerra civile e nella rivoluzione spagnola, a costruire le basi per la successiva lotta antifascista in Italia. Ma negli anni a venire l’anarchismo non sarà in grado di beneficiare di questo tributo a causa del suo progressivo indebolimento sul piano dell’elaborazione teorica e strategica e per aver abbandonato ogni prassi organizzativa nelle mani del bolscevismo. Su queste premesse non sorprenderà che una forza viva e radicata a livello di massa come l'anarchismo, che a ragione possiamo definire l'unica opposizione rivoluzionaria non minoritaria al capitalismo, al fascismo e alternativa al bolscevismo, si presenti comunque e dovunque incerta, debole e fatalmente esposta all'aggressione.
Bisognerà aspettare fino al 1926, fino alla riflessione di un gruppo d’esuli anarchici russi, alcuni dei quali sopravvissuti alle persecuzioni bolsceviche, per trovare il primo tentativo di concreta e visibile revisione teorica e strategica dell'anarchismo nella sua fase di crisi epocale.
Questi compagni (tra i quali ricordiamo N. Machno, I. Mett, P. Arshinov), pongono il problema della sconfitta dell'anarchismo russo nella cornice più vasta della crisi dell'anarchismo internazionale, e sviluppano un dibattito critico che culminerà, circa un anno dopo, nel 1927, nella "Piattaforma generale degli anarchici” che si riproporrà di conferire all’anarchismo una dimensione organica ed unitaria all’interno di una chiara definizione organizzativa in grado di consentire l’azione autonoma, visibile ed efficace degli anarchici nella realtà e nel movimento di classe.
Si tenga presente che il 1927 precede di soli due anni la prima grande crisi capitalistica internazionale, sulla quale poggeranno le premesse per lo scoppio del secondo conflitto mondiale imperialista. Si tenga presente che i focolai che avevano alimentato la rivoluzione internazionale sono soffocati dall'azione controrivoluzionaria della socialdemocrazia e della reazione fascista e nazionalista. Si tenga infine presente l’inesorabile ascesa della controrivoluzione staliniana e che l'evoluzione politica di alcune delle maggiori potenze imperialiste propende ormai verso la forma democratica e riformista compiuta, laddove il riformismo da semplice deviazione del movimento operaio si è lentamente e definitivamente trasformato in uno dei fondamentali sostegni all'imperialismo del proprio rispettivo paese.
L'anarchismo si dimostra, in questa fase, pressoché privo di strumenti idonei a comprendere la realtà, e tale mancanza non gli consentirà di realizzare le necessarie scelte teoriche, strategiche e tattiche, nonché le conseguenti realizzazioni organizzative. A questo gravissimo limite segue una crisi ancora più profonda: l'anarchismo ha ormai perso la sua capacità di elaborare, ed il movimento anarchico si rassegna a vivere della rendita di posizione conseguente al suo prestigioso passato rivoluzionario.
Solo la Spagna resiste: ma la leggendaria CNT, uno tra i più forti sindacati del mondo, che costituiva il cardine dell’anarchismo spagnolo, non estende la sua influenza che all'interno dei confini nazionali peraltro in una realtà marginale a livello europeo ed internazionale e, in ogni modo, dimostra di subire, così come la sua successiva e drammatica storia dimostrerà, tutti i limiti dell’anarchismo, presentandosi in ritardo di fronte alla reazione nazionalista e alla controrivoluzione borghese e staliniana.
In questa fase i più accreditati detrattori della “Piattaforma” pongono questioni di “coerenza anarchica” che sono del tutto avulse dalle priorità imposte dal ciclo storico: congiuntura di crisi, offensiva capitalistica e reazione fascista, azione disarmante del riformismo socialdemocratico, controrivoluzione staliniana, ruolo delle masse e, in loro, della minoranza agente. Questa gravissima omissione, nella quale si distinsero, purtroppo, alcune delle figure più alte dell'anarchismo internazionale, non produrrà che argomentazioni capziose e livide che anticiperanno la successiva paralisi di ogni iniziativa politica dell’anarchismo, esponendolo ancor più all’aggressione fascista e staliniana, successivamente agevolando una progressiva involuzione verso concezioni umanistiche, individualistiche, moderate e globalmente ininfluenti, che riproposte nel secondo dopoguerra ne accelereranno la sconfitta e la decomposizione.
La fase attuale
Sulle istanze teoriche, strategiche ed organizzative storicamente espresse dalle componenti comuniste e di classe, hanno sempre finito per trionfare altre astratte posizioni proprie di un anarchismo ormai involuto in catechesi. Ciò è stato possibile anche a causa della debolezza con la quale si è progressivamente realizzata l’azione di recupero dell’anarchismo da parte delle sue componenti comuniste. Tale recupero emerge nell’elaborazione di numerosi teorici e nelle più significative esperienze organizzative e politiche della storia della lotta di classe e dell’anarchismo internazionale, anche se ha assunto purtroppo i connotati dell’episodicità ed è stato per questo sconfitto.
L’insegnamento proveniente dalle passate esperienze, e dalle piùsi gnificative elaborazioni, l’azione politica e militante che si concreta nella “Piattaforma generale degli anarchici” nel 1927, nelle vicende che condurranno alla fondazione dei Gruppi Anarchici di Azione Proletaria (GAAP) nell’Italia del secondo dopoguerra, alcune esperienze riconducibili alla Federazione Anarchica Giovanile Italiana e, più avanti, al tentativo di costruire in Italia un’organizzazione comunista libertaria che caratterizzerà il movimento anarchico italiano negli anni ’70 del novecento, hanno costituito passi significativi per riconferire all’anarchismo quel ruolo propositivo altrimenti rimosso.
I punti fermi che derivano da queste significative esperienze appartengono alla tradizione comunista anarchica e si basano sulla necessità di individuare l’interlocutore sociale in base ad una analisi scientifica della società, senza anteporre ad essa categorie astratte, ideologiche e soggettive. Conseguentemente secondo le indicazioni di Bakunin si recupera il concetto di dualismo organizzativo, del ruolo cioè dell’organizzazione di massa e dell’organizzazione politica dei comunisti anarchici e del rapporto tra questi due fondamentali momenti del processo rivoluzionario.
La lotta di classe si sviluppa in forme cicliche che non perdurano nel tempo e che, anzi, tendono ad esaurirsi e a disperdersi: l’organizzazione politica costituisce l'unica possibilità per difendere, riproporre ed estendere la memoria e la consapevolezza di classe e, quindi, la forma rivoluzionaria. Ma la teoria del partito politico rivoluzionario è alquanto avara di contributi costruttivi, e si risolve quasi esclusivamente in Lenin, forse per i successi (apparenti) da essa ottenuti.
La teoria del partito di Lenin è in realtà una semplificazione della dialettica minoranza agente/masse (dualismo organizzativo), già affrontata in nuce da Bakunin e rimasta, purtroppo, incompiuta e rimossa. D’altronde la teoria marxiana non sviluppa le forme politiche e istituzionali della “dittatura del proletariato” e il marxismo di Lenin, al quale non sono estranee robuste iniezioni giacobine, pressato dalla contingenza storica sfavorevole e dall’arretratezza della Russia dell’epoca, scivola su di una serie d’assunti arbitrari, puntualmente smentiti dallo sviluppo della lotta di classe (la coscienza di classe imposta dall'esterno, il ruolo dirigistico e dittatoriale del partito guida e dello stato sull’intero proletariato nell'ambito dello sviluppo del processo rivoluzionario e dell’edificazione socialista), e non vivrà che una brevissima stagione rivoluzionaria prima di risolversi nella controrivoluzione staliniana.
Oggi il ruolo dei comunisti anarchici deve consistere, se vuole essere costruttivo, nell’elaborazione e nell’articolazione di un programma rivoluzionario attraverso un’azione organica, autonoma e visibile nella realtà sociale, e che potrà svilupparsi solo attraverso una chiara definizione organizzativa. In questo senso il primo passo consiste nell’acquisizione inevitabile dei contributi marxiani e marxisti più costruttivi quali strumenti insostituibili per l’analisi scientifica dei fenomeni storici e sociali, (concezione materialistica della storia) e il secondo passo nella revisione critica della storia dell’anarchismo e nel recupero, nel restauro e nella riproposizione delle sue fondamentali esperienze nell’ambito della storia complessiva del movimento operaio internazionale.
“Il più è sparso” scrissero alcuni compagni francesi molti anni addietro e la storia, pare, abbia regolato definitivamente i conti con le velleità delle formulazioni anarchiche e marxiste che hanno preteso, queste ultime specialmente, di rappresentare in esclusiva il passato, il presente ed il futuro del processo rivoluzionario.
Sopravvivono oggi concezioni ed esperienze vive e capaci di trasmettere contenuti costruttivi, ma queste concezioni ed esperienze sono disperse, dimenticate e rimosse. Purtroppo oggi la via scelta dalla stragrande maggioranza degli anarchici è la stessa che già, in epoche passate, non volle rendersi conto dell'evoluzione dei tempi e le esperienze anarchiche, anche quelle più interessanti, sono obiettivamente immerse nel dilemma: o dimostrarsi coerenti alle primitive concezioni difendendo la cittadella di una rivoluzione improponibile nelle attuali condizioni, o scendere a patti con il capitalismo per adattarsi e convivere. Nel primo caso si è ancorati alle concezioni rivoluzionarie ottocentesche e, quindi, isolati e sconfitti, mentre nel secondo ci si risolve nel capitalismo per essere sconfitti ugualmente. Recuperare i tratti fondanti della storia nostra, aggiornarli e riproporli è il compito che ci troviamo di fronte, per mantenere la nostra identità e individuare quali dovranno essere gli strumenti politici e organizzativi idonei a tale funzione e, conseguentemente, avviare una riflessione approfondita sulla transizione tra la società capitalistica e la nuova società comunista anarchica.
Il Programma politico e la necessità dell’organizzazione
L'anarchismo deve essere aggiornato e liberato da ciò che non conduce né agli esseri umani in carne ed ossa, né ai loro sentimenti: deve essere depurato da quelle concezioni individualistiche che non emancipano la classe e l'individuo ma si risolvono nell'ideologia borghese e liberale; deve essere liberato dalle implicazioni idealistiche le quali, originate nel mondo delle idee, si allontanano dal mondo reale secondo il più genuino spirito dell'elaborazione filosofica e sociologica borghese. L'anarchismo comunista dovrà quindi tornare ad una prassi strategica che implichi “lo sporcarsi le mani” nelle fondamentali contraddizioni della nostra epoca, evitando scorciatoie e privilegiando invece la prassi, la strategia e la tattica di intervento nello scontro di classe.
In troppi ambiti del movimento anarchico la trasformazione e il superamento della società capitalistica rimangono ancora oggi legati all'idea romantica della rottura violenta insurrezionale, intesa come atto volontaristico e propedeutico alla trasformazione sociale. Lo stesso gradualismo malatestiano è per lo più inteso come prassi di trasformazione graduale solo dopo che la spallata insurrezionale ha spazzato via la cappa soffocante dello Stato. Ciò presuppone un'idea meccanica del processo di trasformazione, laddove prima dell'evento di rottura l'azione è essenzialmente agitazione, propaganda, proselitismo, formazione dei quadri, ovvero un'azione che si misura più in termini di crescita numerica dei militanti, piuttosto che in rapporto alla capacità di incisione dell'azione politica sulle condizioni di vita del moderno proletariato e sull’estensione del suo ruolo di forza autonoma dagli interessi capitalistici. Un'azione che sottovaluti, se non addirittura rimuova e deformi la concreta realtà, che mal valuti le contraddizioni o che le adatti al proprio tornaconto, si condanna all'ortodossia dottrinale, alla testimonianza e all’autoreferenzialimo il quale, proprio perchè esterno alle pulsioni di cambiamento che attraversano sia pure confusamente altri ambiti di classe e, più in generale della società, non riesce ad andare al di là del proprio piccolo recinto sopravvivendo a se stessa e rimanendo, per questo suo grave limite, del tutto inefficace. E' certamente evidente che questa capacità d’azione politica non è del tutto avulsa dal movimento anarchico e qua e là, nel tempo e nello spazio, compagne e compagni, riescono ad inserirsi e ad avere un ruolo in ambiti non marginali che investono settori ampi della società. Tale capacità di azione si caratterizza, però, come movimento di contrasto, di "resistenza" e di testimonianza, tralasciando l’importanza dell’articolazione di proposte specifiche aventi l’obiettivo di superare l’inevitabile particolarismo e interclassismo delle origini propri delle realtà nelle quali si agisce, ricercando l’unità con settori più ampi di classe. Quello che manca è il piano propositivo, ovvero il piano del programma politico e dell’articolazione tattica di classe per "passare attraverso l'accettazione delle contraddizioni che devono essere negate e superate per poter accedere ad una tappa superiore dello sviluppo storico". Significa, cioè, elaborare un’idea di trasformazione sociale che ponga nell'oggi la possibilità di azione politica attraverso l’organizzazione dei comunisti anarchici (il partito), l'organizzazione sindacale di massa e i movimenti che percorrono orizzontalmente ma anche verticalmente le classi sociali e la società. Tali movimenti, nonostante le loro contraddizioni per altro tipiche di tutta l’intera società capitalistica, sono talvolta portatori di istanze le quali, sia pure non determinando la rottura degli assetti del sistema capitalistico, aprono in esso profonde contraddizioni, creano fratture e si inseriscono nel contesto più generale di una trasformazione della società, creando le premesse per un’azione politica rivoluzionaria, tesa a riproporre ciò che, con una felice sintesi, veniva definita quella azione capace di coniugare “il raggiungimento degli obiettivi immediati con il perseguimento degli obiettivi storici”. Si rende necessaria una politica d’alleanze con quei soggetti politici e sociali che pur non condividendo la nostra prospettiva storica condividono gli obiettivi parziali che stanno alla base del programma. Un'azione politica che rompa, dunque, con il settarismo ideologico e con l'isolamento strategico che caratterizza in buona misura l'intervento degli anarchici.
Per ora, nulla potrà essere inventato, ma è certamente possibile iniziare a recuperare restaurare e riproporre ciò che di positivo è stato fatto. Da questo punto di vista l'organizzazione non è un processo immediatamente definibile e prefigurabile in ogni suo dettaglio, ma più precisamente un obiettivo progressivo, che si raggiungerà compiutamente solo quando il comunismo anarchico avrà un ruolo a livello di massa.
I sottoscrittori del presente documento intendono coordinarsi per sviluppare tutte quelle iniziative con forze e individualità similari su obiettivi unitari, manifestando in questa precisa direzione la necessaria flessibilità ma, contemporaneamente, intendono recuperare, selezionare, restaurare e riproporre i tratti distintivi della storia e della teoria anarchica comunista e di classe, per sviluppare quella articolazione strategica e tattica da riproporre all’esterno in un programma politico organico, unitario e condiviso.
La storia s’impone con i suoi contenuti e non con i nostri di insignificante minoranza rivoluzionaria: tali contenuti fanno giustizia della superficialità minoritaria con la quale l’anarchismo ha affrontato e affronta le tematiche organizzative e politiche che stanno alla base del processo di costruzione dell’organizzazione.
La teoria e la strategia non possono che essere unitarie, così come omogenea deve essere la tattica, in un continuo ed aperto processo di confronto politico. Questa formulazione, che deve quindi essere interpretata “in tendenza”, non può lasciare spazio ad equivoci o, peggio ancora, a caricature perchè l’organizzazione assolutamente unitaria in realtà non esiste; deve piuttosto esistere un’organizzazione politica organica, che trasmetta ciò che è essenziale su teoria, strategia, tattica e prassi organizzativa. Per quanto l’anarchismo sia una dottrina storicamente basata sulla lotta di classe è oggi chiamato a pronunciarsi anche su tematiche più ampie che dai processi produttivi invadono il territorio e la “qualità della vita” delle classi subalterne, che vedono accrescere i loro bisogni al variare del ciclo capitalistico. I tempi sono cambiati e sono ancora più difficili: l’internazionalizzazione del capitale, unitamente all’insorgere di nuove grandi potenze nell’ambito della competizione imperialistica, l’estrema dinamicità della forza lavoro all’interno e all’esterno dei paesi di provenienza pone problemi inediti. Solo un’organizzazione basata su presupposti unitari, omogenei e condivisi potrà sviluppare una linea politica efficace pur in presenza di posizioni diverse che inevitabilmente si svilupperanno con il modificarsi delle fasi storiche del ciclo capitalistico, al fine di far progredire l’elaborazione teorica e strategica, garantire la restituzione tattica, lo sviluppo dell’organizzazione, il progresso e il radicamento del comunismo anarchico nella società.
Viceversa, il modello organizzativo impropriamente definito federalista, laddove “le decisioni prese vincolano solo chi le condivide”, rende incerta e incomprensibile l’azione politica dell’organizzazione mortificando anzi esperienze e posizioni diverse. Anziché agevolare pregiudica il rinnovamento organizzativo e politico, subordina ogni progresso dello spirito critico e sovversivo all’azione censoria dell’ortodossia precostituita, soffoca il dibattito e la partecipazione di forze nuove alla vita dell’organizzazione, determina la costituzione di gruppi occulti di potere del tutto privi di controllo nella loro azione all’interno e all’esterno dell’organizzazione, immiserisce fino all’annullamento lo spessore politico dell’organizzazione medesima impedendo la maturazione degli individui e la crescita militante, determinando la crisi e il deragliamento da ogni tracciato rivoluzionario, così com’è storicamente accaduto e come, purtroppo, ancora oggi perdura.
Gli estensori del presente documento si rivolgono a tutti i compagni e le compagne che intendono impegnarsi per riconferire all’anarchismo il ruolo caratteristico, storico ed inevitabile di teoria e prassi della rivoluzione sociale, e con essi intendono coordinarsi per sviluppare le opportune iniziative in tal senso.
Livorno, 16 giugno 2007 |